L’attentato del 3 febbraio scorso al Museo del Louvre di Parigi e quello del 22 marzo a Londra tornano a far sentire vicina la minaccia del terrorismo, insieme alle molteplici notizie riguardanti nuove scoperte su “terroristi vaganti” in e verso e anche dal’Europa.

Per comprendere bene il fenomeno del terrorismo, occorre capire a fondo le macro e le micro dinamiche che vi stanno alla base. Lo studio attento ed esperto di queste ultime è cruciale per un’efficace contro-risposta, governativa e non-governativa. La maggior parte delle volte è la macro dimensione che viene considerata in particolar modo, soffermandosi su aspetti come le strategie militari e diplomatiche, il ruolo dell’intelligence o la guerra alle risorse finanziarie che supportano i gruppi terroristici e i loro piani. Accade, però, che meno attenzione venga rivolta alla micro dimensione della lotta e prevenzione al terrorismo. Ossia quella riguardante i meccanismi che portano i singoli individui ad aderire a certe ideologie e ad entrare a far parte di un’organizzazione terroristica. Tali meccanismi possono essere posti tutti all’interno della categoria “radicalizzazione”, cioè quel processo, graduale e non graduale, che porta un soggetto ad avvicinarsi ad un pensiero estremista sino ad aderirne totalmente nei fatti, cooperando con gruppi estremisti.

Riguardo le cause della radicalizzazione dell’individuo, come suggerito dall’esperto Alex P. Schmid (2013) esse vanno valutate sia sul piano individuale (fattori personali, economici, sociali, psicologici…), che collettivo (contesto sociale, Paese di appartenenza). Inoltre, un’attenta analisi maritano le varie fasi del processo di radicalizzazione. Secondo Scott Helfstein (2012), sono quattro principalmente: conoscenza; interesse; accettazione; implementazione. Infatti, una volta esposto a un’ideologia estremista, l’individuo, stimolato da vari fattori, individuali e collettivi, può essere spinto a riconoscerli come giusti e farli propri. Questo comporta, nella maggior parte dei casi, un avvicinamento al gruppo che se ne fa promotore, sino ad entrarne a far parte e a iniziare a mettere in pratica l’ideologia acquisita, ossia partecipando alle attività terroristiche. In ogni caso, sottolinea lo studioso, tali fasi non accadono necessariamente in tale ordine. Per esempio, in seguito l’acquisizione di nuove informazioni e conoscenze o di nuove relazioni sociali, l’individuo potrebbe anche ripensarci sulla sua decisione di aderirvi o meno. Questo è particolarmente importante per le strategie anti-terroristiche, perché agendo nel momento giusto di tale processo, si può arrivare in tempo ad allontanare un individuo dal gruppo terroristico.

Un maggiore focus sulla radicalizzazione è di cruciale importanza per prevenire l’incremento del numero degli aderenti e per portare quelli già coinvolti alla de-radicalizzazione. Questo è l’obbiettivo che molteplici Governi si stanno impegnando a raggiungere, cooperando a livello internazionale. Certo la strada è lunga e tortuosa, per questo è indispensabile un impegno globale, e all’unisono. Segni tangibili di tale impegno si trovano nella “European Union Counter-Terrorism Strategy” e in molteplici risoluzioni ONU. In particolare, la Strategia Antiterrorismo dell’Unione Europea sottolinea come i mass media siano dei punti cruciali da considerare a tal fine. Essi infatti sono i principali mezzi di diffusione di idee usati dai gruppi terroristici, e non solo, per reclutare nuovi membri. È a partire dalla tv, dalla radio, e da Internet in particolar modo che gran parte degli attuali terroristi sono diventati tali. Inoltre, anche i luoghi “reali” di diffusione di tali idee, come prigioni e centri di culto, devono essere monitorati.

Anche Todd C. Helmus (2009) sottolinea come “pochi individui si radicalizzino in isolamento”: luoghi di culto, famiglia, prigioni e Internet, sono i quattro mezzi principali attraverso cui la radicalizzazione ha luogo. A tal proposito, l’autore propone non solo di monitorare tali mezzi, ma anche e soprattutto di mirare a dissolvere i legami sociali con tali organizzazioni; promuovere l’integrazione per limitare la crescente, controproducente e spesso ingiustificata e generalizzata ostilità verso i Musulmani; evitare vittime civili durante gli attacchi alle basi terroristiche; infine, usare il Web per portare avanti una sistematica “counter-campaign” di risposta alle sofisticate campagne terroristiche.

Infine, Bjorgo (2009) propone di agire su quei fattori che portano l’individuo ad uscire dal gruppo terroristico, per esempio: eccessive tensioni, pressioni e violenza all’interno di esso; promesse non mantenute e mancanza di efficacia da parte dell’organizzazione; desiderio di stabilità (trovare un lavoro, formare una famiglia) e di libertà. Inoltre, andrebbero considerati tutti quegli elementi che impediscono l’allontanamento dal gruppo, come: rischio di severe sanzioni e punizioni; minaccia immediata da parte di gruppi terroristici rivali; mancanza di altre alternative.

In conclusione, un’attenta analisi delle cause e dinamiche del processo di radicalizzazione è cruciale per efficaci strategie anti-terroristiche. Altrimenti, altri componenti essenziali di esse, a livello militare, diplomatico, economico, legale e di intelligence perderebbero di efficacia. Infatti, è come se si volesse arginare un enorme flusso impetuoso senza operare alla fonte. Contrastare gli effetti della radicalizzazione senza estirpare la sua origine non ha senso. Combattere il terrorismo significa, quindi, prima di tutto combattere ciò che fa diventare un individuo un terrorista, in partenza.