Universitarianweb – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it Thu, 15 Feb 2018 11:32:48 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.8.2 http://www.360giornaleluiss.it/wordpress/wp-content/uploads/2017/02/cropped-300px-32x32.png Universitarianweb – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it 32 32 97588499 POPULISMO E DEMOCRAZIA – DA RAPPRESENTANZA A RAPPRESENTAZIONE (PARTE I) http://www.360giornaleluiss.it/populismo-e-democrazia-da-rappresentanza-a-rappresentazione-parte-i/ Tue, 22 Mar 2016 18:32:57 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6187 Articolo Originariamente presente su Universitarianweb.com La seconda parte dell’articolo è disponibile qui Introduzione Il populismo è una categoria che sempre più viene usato dai media e nel linguaggio quotidiano per descrivere fenomeni sociali e politici della più varia natura. In questa sede si vorrebbe proporre un approfondimento sulla tematica per colorare la parola di un

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Articolo Originariamente presente su Universitarianweb.com

La seconda parte dell’articolo è disponibile qui

Introduzione

Il populismo è una categoria che sempre più viene usato dai media e nel linguaggio quotidiano per descrivere fenomeni sociali e politici della più varia natura. In questa sede si vorrebbe proporre un approfondimento sulla tematica per colorare la parola di un significato più articolato, passando dalla definizione di “populismo”, fino ad individuarne le possibili cause ed eventuali contromisure nel contesto del nostro attuale sistema democratico.

Più nel dettaglio, si procederà individuando il problema ed il metodo seguito (Par 1), dando una definizione minimale di populismo (Par 2), valutando, poi, il concetto all’interno delle democrazie rappresentative liberiste[1] (Par 3) e traendo, infine, personali conclusioni (Par 4).

Problema e metodo

La tematica proposta è di difficile trattazione e coinvolgerebbe un ventaglio troppo vasto di ambiti. È opportuno, pertanto, fin da subito circoscriverne l’indagine. In questa sede si vuole trattare del populismo come forma di risposta politica all’interno della cornice della democrazia rappresentativa liberista, un modello che, ritengo, sia affermato e si stia affermando nelle democrazie occidentali (inclusa l’Italia). Non si tratterà pertanto del populismo in generale, ma del populismo in ambito politico e più nel dettaglio nel sistema politico democratico (un approccio, quindi, piuttosto ristretto, dal momento che il populismo è tendenzialmente accostato a sistemi autoritari di governo o comunque non democratici).

Più direttamente, il quesito a cui si vuole rispondere con questo brevissimo saggio è: che cos’è il populismo? Da cosa scaturisce nei sistemi democratici? Come valutare il fenomeno o porvi rimedio?

Per quanto concerne il metodo, si vuol procedere su due direttive: da un lato si valuta opportuno ricercare una dimensione di ”avalutatività” e, per quanto possibile, “eliminare quell’universo del pressappoco in cui si insinuano più facilmente le valutazioni personali” (Bobbio)[2]; dall’altro, a fronte di una dimensione descrittiva dei fenomeni, accostare valutazioni personali che possano essere indice dell’orizzonte di significati in cui lo scritto è immerso. La ricerca di oggettività implica anche il tentativo di individuare il salto che passa fra l’incontrare dati ed interpretarli: è davvero difficilmente concepibile l’idea di avere a che fare con dati senza interpretarli, non fosse che per la scelta e per l’ordine di esposizione degli stessi. A mio avviso, la completezza di una ricerca passa dal sapere accostare parte descrittiva e valutativa con armonia, piuttosto che nel fornire dati atoni al lettore.

Nella definizione di populismo si terrà conto della metodologia proposta da Cotta, Porta e Morlino in Scienza Politica[3]. Non mi soffermerò sulla chiarificazione di termini se non in quanto indispensabile al fine dello sviluppo logico dell’argomentazione.

Il concetto di “populismo”

Per quanto a chiunque sia capitato di parlare di populismo, tale concetto si presenta quanto mai frammentario, tant’è che, nel discorso politico, Peter Wiles ha affermato: “a ognuno la sua definizione di populismo, a seconda del suo approccio e interessi di ricerca”, a sottolineare come si possa rimandare a più referenti empirici con lo stesso vocabolo. In questo paragrafo, mi concentrerò sia sulla connotazione del termine (i.e. le dimensioni e caratteristiche essenziali), sia sulla sua denotazione (ossia sull’estensione empirica posseduta dal concetto esaminato). In particolar modo, qui si cercherà di trovare una connotazione minimale di populismo, in modo tale da concedergli la più ampia denotazione possibile.

Per dare un “ancoraggio storico” a questo termine, è possibile partire dalla sua radice linguistica: esso viene usato inizialmente per riferirsi ad un movimento culturale e politico sviluppatosi in Russia (traduzione russa народничество “narodničestvo”) a cavallo fra Ottocento e Novecento che si proponeva di raggiungere un miglioramento delle condizioni di vita delle classi più povere sulla base della realizzazione di una sorta di socialismo rurale, attraverso, ed è qui l’aspetto rilevante, un’”attività di propaganda e proselitismo” svolta dagli intellettuali nei confronti del popolo[4]. Per estensione, in ambito politico (si tralasciano le accezioni artistico-letterarie), ci si riferisce con “populismo” a programmi politici demagogici che esaltano il popolo in modo velleitario, come attraverso un presunto[5] rapporto diretto fra un capo carismatico e le masse.

Così inteso, è possibile riscontrare il populismo per la prima volta nell’età contemporanea in occidente[6] nel periodo napoleonico, secondo l’interpretazione di Gustave Le Bon. Infatti, scrive Bernardo Paci nel suo articolo Populismo – un’analisi minimale[7], Napoleone fu “il primo capo politico a dar vita ad una mobilitazione permanente delle masse popolari attraverso il cui consenso fornire sostegno e vera e propria difesa al proprio potere, laddove in precedenza le classi dominanti avevano sempre tentato piuttosto di mantenere le popolazioni nella passività e nel disinteresse nei confronti della politica”.

Caratteristica del populismo, ancora, è spesso quella di rivendicare la comunanza fra leader e popolo enfatizzando la distanza con le élites: ripropone, cioè, lo schema per cui la società è omogenea e indivisibile e il regale (le élites) si contrappone al popolo (Sorice). Il leader, quindi, si propone come colui che è in grado di ricomporre ad unità la società.

Condenserei il concetto di populismo in: “dare risposte semplici a problemi complessi con metodi emozionali”. Non è una semplice individuazione di agenti patogeni fuori dal sistema dei problemi sistemici che si vivono (e.g. l’individuazione di un nemico che mina le basi della società o i propri interessi, gli ebrei per il Nazismo, la classe politica dei partiti tradizionali per Grillo, i comunisti per Berlusconi etc.), quasi che la società fosse “un corpo in sé perfetto” (Paci), ma anche sviluppare un discorso critico su elementi strutturali in maniera meccanica invece che organicistica (come in una macchina, appunto, cambiando un pezzo ritorna a funzionare come dovrebbe). Altra tendenza populista è quella di identificare i mali della società come patologici al sistema e mai fisiologici, quasi che i soggetti stessi ne ponessero secondo la propria libera volontà. Come osserva acutamente Paci[8], l’esperienza populista non è mera illogicità (per quanto faccia parte della comunicazione propria del populismo parlare al “basso ventre” del popolo) ma ha una logica a sé stante, che individua in determinati attori liberi e coscienti la responsabilità per i mali di una società, in una “dimensione fantastica” che a volte porta ad individuare responsabili non soltanto senza individuarne le colpe specifiche, ma addirittura senza provarne l’esistenza (e.g. teorie del complotto).

Arnaldo Mitola

1]Si sceglie il vocabolo “liberista” e non “liberale” di proposito.

[2]M. COTTA, D. DELLA PORTA, L. MORLINO, Scienza Politica, Il Mulino, Bologna, 2001, p. 36.

[3]Id. p. 39 ss.

[4]http://www.treccani.it/vocabolario/populismo/, come disponibile 20-05-15.

[5] Scrivo “presunto” in quanto questo tipo di rapporti non ha carattere realmente diretto: il cittadino che inneggia al leader carismatico non lo conosce. Per fare un paragone col mondo dello spettacolo (in un parallelismo con la sfera politica per i motivi che vedremo più avanti), la massaia che si rivolge confidenzialmente a “la Maria”, intendendo Maria De Filippi, non è che vittima di una ”illusione della ragione”.

[6]Come detto sopra, non ci si interessa qui del fenomeno in culture estranee a quella occidentale, né alla civiltà Romana.

[7]http://universitarianweb.com/2014/11/12/populismo-unanalisi-minimale/, come disponibile 20-05-15.

[8]Id.

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LA FINE DEI CAVALIERI? – RIFLESSIONE SU DON CHISCIOTTE, EROE COMICO E TRAGICO http://www.360giornaleluiss.it/la-fine-dei-cavalieri-riflessione-su-don-chisciotte-eroe-comico-e-tragico/ Mon, 01 Feb 2016 15:14:58 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=5702 Articolo originariamente presente su uniersitarianweb.com C’è un periodo nella vita della maggioranza di noi in cui desideriamo diventare dei cavalieri: vivere avventure, esser portatori di grandi ideali e valori, come la libertà, l’uguaglianza, la cortesia, superare mille prove, esser ricompensati da una fama che ci sopravvivrà. Ma nel mondo di adesso è davvero possibile vivere

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Articolo originariamente presente su uniersitarianweb.com

C’è un periodo nella vita della maggioranza di noi in cui desideriamo diventare dei cavalieri: vivere avventure, esser portatori di grandi ideali e valori, come la libertà, l’uguaglianza, la cortesia, superare mille prove, esser ricompensati da una fama che ci sopravvivrà. Ma nel mondo di adesso è davvero possibile vivere grandi avventure? Già Cervantes negava questa opportunità, descrivendo con estremo realismo il mondo prosaico della Spagna seicentesca, una realtà che non riconosceva più alcun posto e funzione ai cavalieri. La follia di Don Chisciotte è proprio questa: credere di poter riportare gli ideali cortesi, sublimare la realtà: non è in grado di distinguere ciò che è finzione da ciò che non lo è. E’ chiaro che il motivo della sua pazzia risiede nella lettura dei romanzi cavallereschi, in quello che Cervantes definisce, con radicale ironia, solo del “ciarpame”; il rogo dei libri, svolto per guarire Don Chisciotte, avviene dopo una cernita in cui è salvato, tra gli altri, l’Orlando furioso dell’Ariosto (segno, questo, dell’ammirazione e del debito di Cervantes verso l’autore italiano). Ma che tipo di lettore è il nostro protagonista?

Nel Polso del tempo, Weinrich ha proposto alcune categorie: escludendo il non-lettore, che si orienta solo in base a sapere e informazioni orali, vi è il lettore intensivo, che legge pochi libri e da cima a fondo, di solito la Bibbia e i testi sacri. Questo tipo di lettore era presente specialmente nel Medioevo, in cui la disponibilità di testi era ridotta e appannaggio di una classe ristretta di persone. Il lettore estensivo, invece, nasce con la stampa: è onnivoro, si nutre di saggi, romanzi, giornali. Adesso si è affermato il lettore sulla difensiva. Tristemente, sono divenuta uno di quest’ultimo genere: compro tantissimi libri, offerti da un mercato e da un’industria editoriale che sforna incessantemente nuovi titoli, li metto su uno scaffale e li accumulo, senza avere tempo di leggerli. Il lettore contemporaneo deve operare una scelta, decidere quali volumi consumare e quali no, tentando di non lasciarsi sopraffare.

Torniamo, dunque, a Don Chisciotte. Il cavaliere è a metà tra il lettore intensivo e quello estensivo: legge tantissimi libri ma intensivamente; ed è proprio questo a determinare la sua follia. Un altro esempio è fin troppo semplice: Madame Bovary, che si nutre dello stesso ciarpame di Don Chisciotte e dai sogni di evasione e di adulterio è condotta alla rovina. Flaubert narra vite monotone e grigie, uomini e donne di provincia, sostiene addirittura di voler scrivere un libro sul niente. Le grandi avventure sono al di fuori della letteratura alta, che ormai ha problematizzato questo concetto e non intende più parlarne; esse si rifugiano nella produzione popolare, di appendice. Non occorre ricordare che Dumas, contemporaneo di Flaubert, aveva negli stessi anni un enorme successo con i Tre moschettieri, zeppo di grandiose e mirabolanti avventure. Nella letteratura moderna non vi è più l’eroe, il cavaliere impavido che sceglie il proprio destino, che affronta l’avventura, che dà un senso al mondo: quelli che popolano i romanzi a partire dalla fine dell’Ottocento sono uomini e donne inetti, ammalati, inermi e inerti, passivi, in balia degli eventi della vita. I nomi si moltiplicano e sono noti: Svevo, Moravia (La noia), Musil (L’uomo senza qualità), Sartre. Proprio su quest’ultimo voglio soffermarmi: nella Nausea vi è un interessante dialogo tra il protagonista e un suo amico, in cui Antoine lamenta di non riuscire a scrivere perché non ha mai vissuto avventure, gli sono capitati solo fatti, eventi, accidenti. Il critico tedesco Simmel ha brillantemente sostenuto che l’avventura esiste retrospettivamente: siamo noi, una volta che l’evento si è concluso, ad isolarlo dal flusso continuo della nostra vita, circoscrivere l’avvenimento rispetto al tempo lineare che determina la nostra esistenza e investirlo di un senso. E’ il principio delle autobiografie, le quali, redatte alla fine di una vita, sono un tentativo di dare un ordine agli eventi, creare una logica, stabilire una struttura e un senso. Un’operazione paradossale e illusoria, dato che tale significato viene attribuito solo retrospettivamente. Ciò che Antoine non riesce più a fare è privilegiare un segmento della propria vita e investirlo di un senso: l’esistenza è così del tutto insensata, determinata senza scampo dal flusso lineare del tempo, che ci condurrà inevitabilmente alla morte.

Qual è il presupposto perché un accidente divenga avventura? Deve essere raccontato. I cavalieri della Tavola Rotonda spedivano alla corte i testimoni delle loro prodezze e loro stessi raccontavano le meravigliose avventure di cui erano stati protagonisti. (Si pensi all’inizio dell’Yvain di Chrétien de Troyes, in cui Calogrenant narra la propria peripezia, che spinge Ivano a partire immediatamente all’avventura, innescando l’intero racconto). Un altro esempio è offerto dallo stesso Don Chisciotte che vorrebbe combattere contro un leone, ma l’animale è troppo pigro e svogliato e così il cavaliere è costretto a chiedere alla guardia di essergli testimone che l’avventura non è potuta avvenire per colpa esclusivamente della bestia. Ariosto esprime chiaramente il bisogno che l’avventura venga narrata, quando Rinaldo chiede informazioni ad alcuni monaci ed essi rispondono di prestare attenzione affinché l’impresa del cavaliere non rimanga sconosciuta (“Risposongli ch’errando in quelli boschi, / Trovar potria strane aventure e molte: / Ma come i luoghi, i fatti ancor son foschi; / Che non se n’ha notizia le più volte. / – Cerca (diceano) andar dove conoschi / Che l’opre tue non restino sepolte, / Acciò dietro al periglio e alla fatica / Segua la fama, e il debito ne dica”).

Tuttavia, se è il racconto a determinare l’avventura, essa può non essere solo inerente fatti eccezionali, fuori dall’ordinario, ma anche cose banali e quotidiane. Il problema di fondo, però, rimane: se l’uomo moderno e contemporaneo non riesce più ad isolare una parte della propria vita per dotarla di significato, la letteratura stessa non può riuscire a compiere tale operazione. Sarà la descrizione dell’insensatezza dell’esistenza, della banalità e della mediocrità del mondo.

Vorrei concludere con un’ultima considerazione su Don Chisciotte. Si tratta di un personaggio comico o tragico? Noi ridiamo di lui, che si copre di ridicolo ed è continuamente sconfitto, ma ciò che colpisce della sua figura è la sua enorme forza trainante. I lettori vedono il mondo attraverso i suoi occhi, partecipano alle sue “avventure”, si schierano dalla sua parte. Ridono, è vero, ma sono d’accordo con lui: che ne sarebbe del mondo senza sogni, ideali, valori? Che cosa rimarrebbe della realtà senza la possibilità di sublimarla, di renderla migliore? A mio parere, ogni testo ben scritto compie queste operazioni, sia esso un romanzo cavalleresco o un libro sulla mediocrità umana. Joseph Conrad scrive: “Ero a un pelo dall’ultima opportunità di pronunciarmi, e ho scoperto con umiliazione che probabilmente non avrei avuto nulla da dire”. Come ho scritto ad un amico qualche tempo fa: anche parlando del niente e della più totale inettitudine, si può creare bellezza e, secondo me, dire in modo sublime che la vita è insensata è uno dei modi per farle acquisire un senso. O forse ci porta a pensare che un significato esista e ci riscatta (momentaneamente) dal fatto che non riusciamo a coglierlo.

 

Federica Avagnano

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DOVE VA LA CATALOGNA? – POSSIBILI SCENARI NEL DOPO ELEZIONI http://www.360giornaleluiss.it/dove-va-la-catalogna-possibili-scenari-nel-dopo-elezioni/ Sun, 13 Dec 2015 12:39:36 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=5468 articolo originariamente presente su universitarianweb.com A due settimane dal voto per rinnovare il governo spagnolo riaffiora l’interrogativo sulla sorte della Catalogna. I sondaggi confermano in prima posizione (28,6% delle preferenze) il Partito popolare (Pp) seguito dal Partito socialista operaio e dai centristi di Ciudadanos (20,7% e 19% rispettivamente). Al di là del risultato, è certo che l’esito del

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A due settimane dal voto per rinnovare il governo spagnolo riaffiora l’interrogativo sulla sorte della Catalogna. I sondaggi confermano in prima posizione (28,6% delle preferenze) il Partito popolare (Pp) seguito dal Partito socialista operaio e dai centristi di Ciudadanos (20,7% e 19% rispettivamente). Al di là del risultato, è certo che l’esito del 20 dicembre determinerà con quale governo la Catalogna indipendentista dovrà negoziare.

Il 27 settembre scorso, i catalani chiamati al voto non hanno solo espresso le loro preferenze per i 135 membri del parlamento regionale, ma di fatto hanno manifestato il loro appoggio al tanto rivendicato referendum sull’indipendenza della Catalogna. Il risultato, tuttavia, non è stato univoco: se con 72 seggi su 135 i partiti separatisti del Junts pel Sì (JxS) e Candidatura d’Unitat Popular (Cup) hanno ottenuto la maggioranza in parlamento, il 47,8% delle preferenze elettorali (rispettivamente 39,5% per JxS e 8,2% per Cup) non è abbastanza per legittimare un plebiscito sul tema. A votare in maniera nettamente contraria alle aspettative è stata proprio la provincia di Barcellona con poco più di un terzo dei consensi a favore della coalizione indipendentista. Ciononostante, il risultato delle elezioni ha messo a rischio non solo gli equilibri politici spagnoli ma anche il quadro identitario europeo.

A due settimane dalle elezioni generali spagnole, la questione catalana tiene la Spagna e l’Europa con il fiato sospeso. I sondaggi rivelano infatti una forte incertezza degli elettori tra vecchia e nuova politica. In questo frangente, se da un lato l’esito delle elezioni potrà condurre ad un governo di coalizione di destra tra Pp e Ciudadanos, dall’altro la sua attuabilità non è per nulla scontata. Al tempo stesso, il nuovo scenario politico potrebbe dare man forte alle rivendicazioni catalane. Rivendicazioni che non sono affatto nuove e che, anzi, si susseguono da anni sebbene puntualmente demolite da dichiarazioni di incostituzionalità del governo centrale.

Intanto, l’esecutivo catalano ha avviato un iter unilaterale di diciotto mesi per raggiungere la separazione dalla Spagna. Forte della vittoria elettorale, il presidente della Generalitat di Catalogna e segretario della Convergència Democràtica de Catalunya, Artur Mas, si era infatti detto pronto a gettare le basi per l’indipendenza entro il 2017 malgrado la dura opposizione delle autorità madrilene. Il braccio di ferro tra Barcellona e Madrid sulla questione va avanti da tempo. Un anno fa, la vice-Premier Saenz de Santamaria aveva spazzato via qualsiasi velleità separatista ricordando che secondo la Costituzione è possibile indire consultazioni pubbliche rivolte a tutta la popolazione spagnola e non ad una sola parte di essa. La dichiarazione non aveva però dissuaso i separatisti dallo svolgere – il 9 novembre 2014 – una votazione simbolica sull’indipendenza attraendo alle urne 2 milioni di catalani, l’80,7% di questi favorevoli al sì. Mas aveva definito il risultato una lezione di democrazia. Il referendum era stato tuttavia ritenuto dal governo centrale un mero atto di propaganda politica.

Dodici mesi dopo, il 9 novembre 2015, il parlamento catalano ha approvato una risoluzione sul processo di secessione dalla Spagna, dando sostanza al tema chiave delle regionali e di fatto proclamando l’indipendenza, una mossa che ha scatenato una crisi politica con il potere centrale. Il ricorso del governo di Rajoy non si è fatto attendere e la sentenza della Corte Costituzionale in merito è prevista per metà aprile 2016. Fino a quel momento i membri del governo catalano dovranno rispettare la sospensione del processo di indipendenza dalla Spagna.

Con il mutamento della configurazione politica spagnola e la possibile ascesa di partiti più attenti alle rivendicazioni catalane, il futuro della Catalogna potrebbe assumere contorni inaspettati. Ma secondo alcuni analisti, il governo catalano potrebbe anche affrontare sfide complesse in seguito alle elezioni generali del 20 dicembre. Ad esempio, scrive Sebastian Balfour, il governo di Madrid potrebbe adottare – come giusto compromesso – la politica della “Terza Via” per approfondire il processo didevolution per la Catalogna con un emendamento costituzionale.

L’ipotesi di indipendenza catalana pone tre problemi. In primo luogo, uno di natura politica. Si tratterebbe infatti di un importante precedente. Il caso catalano rievoca il tentativo scozzese e potrebbe risvegliare i moti indipendentisti di altre regioni europee come, ad esempio, il Veneto e i Paesi Baschi. Catalogna e Paesi Baschi hanno forti identità culturali e condividono il malcontento, aggravato dalla recente crisi, per la gestione delle loro risorse economiche da parte del governo centrale, tant’è che il parlamento catalano da tempo pretende un’autonomia fiscale pari a quella basca. Nel gennaio 2014, in centomila hanno manifestato per le strade di Bilbao, assieme ad esponenti del Partito Nazionalista Basco, reclamando l’indipendenza del territorio dal resto della Spagna. Negli ultimi 15 anni il parlamento basco ha cercato invano di ottenere da Madrid l’autorizzazione per svolgere un referendum sull’indipendenza. Il recente episodio catalano potrebbe però mettere le ali agli indipendentisti baschi.

Inoltre, a parte le questioni di legittimità costituzionale, il problema è anche la modalità con cui si potrà raggiungere o meno l’indipendenza. Il quadro politico catalano rimane incerto: Mas mantiene le redini del movimento indipendentista, ma i radicali del Cup stanno prendendo piede. Rispetto alle regionali del 2012, il Cup ha infatti più che raddoppiato i suoi consensi dal 3,4% all’8,2%. Esso ha perciò approfittato del crescente peso politico per dettare alcune regole, ma dovranno essere fatte altre concessioni per tenerlo a bordo.

Non per ultimo, le implicazioni a livello europeo appaiono problematiche. Le reazioni di altri leader europei alle regionali hanno evidenziato le questioni che attanagliano l’Unione, crisi identitaria in primis. Nell’ultimo periodo le ambizioni federaliste hanno infatti ceduto il posto ai tecnicismi e alle politiche d’austerità fomentando le divisioni interne e i sentimenti nazionalisti. L’ipotesi dell’indipendenza catalana rappresenta una nuova grana per Bruxelles che va a sommarsi all’interrogativo Brexit (l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea) e contribuisce allo sfaldamento della coesione europea. Se Barcellona dovesse autoproclamarsi indipendente la Catalogna si troverebbe automaticamente fuori dalla Spagna, dall’Unione europea e dall’Eurozona e un’eventuale sua adesione all’UE dipenderebbe dal consenso, per nulla scontato, della Spagna. Inoltre, la Spagna verrebbe privata di un’importante regione che ospita il 16% della sua popolazione e contribuisce al 20% del Pil nazionale.

Resta il fatto che le elezioni generali alle porte determineranno con quale governo di Madrid la Catalogna dovrà trattare. Il futuro della Catalogna presenta delle incognite sia per la Spagna che per la comunità europea. Quanto più gli indipendentisti sapranno gestire la situazione a loro favore, tanto più si avvicinerà l’ipotesi di una scissione definitiva.

Maria Elena Sandalli

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Scrittura e viaggio – tra noto e ignoto, curiosità e ritorno http://www.360giornaleluiss.it/scrittura-e-viaggio-tra-noto-e-ignoto-curiosita-e-ritorno/ Fri, 13 Nov 2015 17:32:38 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=5026 articolo originariamente presente su universitarianweb.com “La penna corre spinta dallo stesso piacere che ti fa correre le strade. Il capitolo che attacchi e non sai ancora quale storia racconterà è come l’angolo che svolterai.” Così scrive Italo Calvino nel Cavaliere inesistente. C’è un nesso di relazione e reciprocità strettissimo tra scrittura e viaggio: non solo esiste

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“La penna corre spinta dallo stesso piacere che ti fa correre le strade. Il capitolo che attacchi e non sai ancora quale storia racconterà è come l’angolo che svolterai.” Così scrive Italo Calvino nel Cavaliere inesistente.

C’è un nesso di relazione e reciprocità strettissimo tra scrittura e viaggio: non solo esiste un vero e proprio genere letterario in cui autore e viaggiatore coincidono, ma il viaggio stesso è un tema letterario ravvisabile in ogni testo, poiché ciascuno scritto contiene in sé un cammino. L’inizio di ogni racconto è sempre a partire da uno spostamento, da un cambiamento, dal modificarsi di una situazione abituale, consolidata; se i due bravi non avessero sbarrato la strada a Don Abbondio ingiungendogli che “questo matrimonio non s’ha da fare”, I promessi sposi non sarebbero mai cominciati. Nel momento in cui si verifica un cambiamento, un distacco da una data condizione, l’inizio diviene inizio e la storia può essere narrata. Il viaggiatore è colui che per definizione marca una distanza, sia spaziale (dal luogo dove è a quello in cui va) sia temporale (tra passato e futuro). Il nesso privilegiato con la scrittura nasce proprio da questo: essa è il mezzo della comunicazione a distanza nello spazio e nel tempo, compiendo un viaggio dall’autore al suo pubblico.

Il primo grande viaggiatore è certamente Ulisse, figura omerica e poi dantesca. E’ interessante notare come i due personaggi siano paradigmatici della vita di ogni essere umano: il nostro animo è spinto da una vocazione domestica da un lato e dall’insaziabile voglia di conoscere dall’altro. L’Ulisse omerico vuole tornare a casa e il suo viaggio è quello che in greco prende il nome di nòstos, cioè viaggio di ritorno; l’eroe dantesco, invece, è animato da una sete di conoscenza dell’ignoto, da una curiositas che lo porta a desiderare nuove esperienze e a varcare le colonne d’Ercole. Il viaggio è al tempo stesso avventura e nòstos; la nostra vita si gioca nel precario equilibrio tra la smania e l’irrequietezza di conoscere e vedere e godere del mondo intero e il naturale istinto a radicarsi, esser tranquilli, rimanere a casa.

A questo punto occorre mettere in luce una differenza fondamentale: esistono partenze per arrivare in un luogo e in cui, quindi, prevale il desiderio del raggiungimento della meta, e altre che hanno come scopo e piacere il viaggio stesso, il cammino. Aristotele usa il termine peripezia, il latino preferisce il verbo errare: Ulisse ed Enea errano nel Mediterraneo, poiché lo spostamento da un luogo ad un altro non avviene in modo lineare. La peripezia è un evento positivo o negativo? Dipende. Noi moderni tendiamo ad avere un’idea per cui errare dà piacere proprio in quanto il viaggio è privo di una meta, ma le peripezie di Ulisse sono un continuo di sofferenze, poiché egli è costretto a non tornare a casa a causa della maledizione di Poseidone. Al contrario, i cavalieri (non a caso) erranti dell’Ariosto ricavano il proprio piacere non dalla meta, ma dalla peripezia e dal viaggio.

La Bibbia inizia con la cacciata dall’Eden e l’entrata nel mondo del lavoro e della sofferenza: Adamo ed Eva sono i primi esuli dell’umanità. Tutti i cristiani condivideranno tale destino di espulsi da un paradiso a cui vogliono tornare. Non si tratta, forse, di una forma di nòstos? In modo uguale e molto diverso, Freud sosterrà che tutti gli uomini hanno avuto un’esperienza primaria di beatitudine nel ventre della madre e vogliono farvi ritorno.

Tornare a casa o scoprire l’ignoto? La distanza che viene marcata con il viaggio porta spesso ad uno spaesamento o straniamento, poiché l’uomo conosce l’altro e l’altrove, qualcuno e qualcosa di completamente diverso dalla sua realtà abituale. Colombo, ad esempio, arrivato nelle isole del nuovo continente, vede una natura rigogliosa ed estranea, che egli non riconosce e che genera in lui un sentimento di meraviglia e stupore (parlerà, infatti, di un Eden ritrovato). Questo spaesamento, però, viene pian piano assimilato, poiché Colombo deve comunicare le proprie scoperte attraverso una corrispondenza epistolare. Per poter parlare di qualcosa di così diverso deve renderlo noto: si tratta del processo di addomesticamento. La comunicazione dell’ignoto, cioè dello spaesamento, avviene riconducendolo a categorie note: ecco che la natura delle isole esotiche è come quella dei giardini dell’Andalusia. Colombo non solo parla del Nuovo Mondo nelle lettere, ma compie un altro gesto fondamentale, quando dà un nome a quei luoghi. L’atto di nominazione è un atto di appropriazione dell’ignoto e del diverso, che così può essere conosciuto ed utilizzato. Adamo, infatti, vede oggetti, animali e piante e dà loro un nome, appropriandosene. L’atto di nominazione svolto da Colombo è anche il primo gesto di colonialismo, poiché in esso vi è già una sopraffazione delle popolazioni autoctone, alle quali non è riconosciuta la possibilità di avere nomi, religioni, culture, terre. Gli stessi indigeni, dunque, possono essere addomesticati e la conquista avverrà “con la croce e con la spada”.

Nel momento in cui esploriamo l’ignoto e lo conosciamo riconducendolo alla nostra realtà, il livello linguistico e la scrittura hanno un ruolo fondamentale. I filtri culturali attraverso cui vediamo il mondo sono un enorme vantaggio perché ci permettono di raccontare e conoscere, ma costituiscono un profondo limite, quello dell’etnocentrismo. Nelle Città invisibili di Calvino, il Gran Khan interroga Marco Polo, ambasciatore e mediatore tra le varie città dell’immenso impero, ed un giorno gli chiede perché non citi mai Venezia. La risposta è semplice: egli non ha mai parlato di alcun altra città. Venezia non è nominata esplicitamente, ma è l’origine che ha formato il viaggiatore e il suo modo di viaggiare ed ora è la lente deformante che permette a Marco Polo di addomesticare il mondo estraneo.

In conclusione, come ultimo esempio del legame strettissimo che intercorre tra scrittura e viaggio, vorrei citare la Commedia. Non è un caso che Dante inizi la propria opera con “Nel mezzo del cammin di nostra vita”: una metafora per cui la vita è un cammino, un viaggio; la scrittura stessa del poeta verrà più volte paragonata alla navigazione. Quando finalmente vedrà Dio, non riuscirà a descriverlo e costruirà una poesia sull’impossibilità di raccontare, sulla negazione dell’effabile, addomesticando così lo spaesamento. Non bisogna infine dimenticare lo stretto legame tra il “folle volo” di Ulisse e il “fatale andare” di Dante: il primo compie un’avventura con il solo ingegno umano, che, però diviene un errare perché non guidato da Dio, mentre il viaggio del secondo è provvidenziale, voluto dal Cielo stesso. Le due avventure si oppongono e corrispondono e nell’una c’è la spia minacciosa dell’altra. Tuttavia, Dante, dopo la conoscenza dell’ignoto, torna a casa ed è vero che Dio è la meta ultima della sua ascesa, ma non è lì che egli rimane, poiché è ancora vivente, non è quello il luogo che gli appartiene.

Credo che la scrittura abbia un proprio ruolo nel parlare di viaggi: scoprire la natura umana e le sue contraddizioni, mostrare il nostro intimo bisogno di trovare un equilibrio tra la smania di correre con una valigia in mano e l’allettante tepore di una coperta su un divano e una mano stretta fra le nostre.

Federica Avagnano

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VOLONTARIATO EXPO – DUE SETTIMANE AL PADIGLIONE EUROPA http://www.360giornaleluiss.it/volontariato-expo-due-settimane-al-padiglione-europa/ Sat, 17 Oct 2015 15:03:36 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=4682 Articolo originariamente presente su universitarianweb.com E’ passato già un mese da quando ho terminato le due settimane di volontariato presso il padiglione dell’Unione Europea all’Expo. Ho fatto ordine tra i miei pensieri entrando nel pieno ritmo della routine e mi fa piacere mettere per iscritto cosa mi ha spinto a questa esperienza e soprattutto ciò

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Articolo originariamente presente su universitarianweb.com

E’ passato già un mese da quando ho terminato le due settimane di volontariato presso il padiglione dell’Unione Europea all’Expo. Ho fatto ordine tra i miei pensieri entrando nel pieno ritmo della routine e mi fa piacere mettere per iscritto cosa mi ha spinto a questa esperienza e soprattutto ciò che mi ha lasciato.

Sono venuta a conoscenza di questa opportunità l’inverno scorso, leggendo articoli sull’Expo ormai alle porte. Dapprima curiosa, poi sempre più convinta a inoltrare la mia candidatura, ho riflettuto sulle motivazioni che potevano spingere una ragazza ventenne, studentessa di Relazioni Internazionali, a fare una tale esperienza. Semplice: l’opportunità di conoscere altri giovani, di interagire in un ampio contesto multiculturale, di approfondire le politiche dell’UE in ambito alimentare e di vedere l’esposizione universale nelle sue tante sfaccettature. Fare volontariato presso l’Expo diventava quindi molto più di un’esperienza da aggiungere al curriculum: era un’occasione importante per conoscere le tematiche di Expo – la sostenibilità ambientale, una sana e corretta alimentazione, la povertà e le disparità socioeconomiche, affrontate per la prima volta su scala mondiale – e per scoprire come i suoi protagonisti – dal Brasile alla Cina, dall’Italia all’Angola – avevano interpretato il messaggio universale Nutrire il pianeta, energia per la vita.

Il percorso per diventare volontario non è così semplice come si potrebbe credere e non basta solo dare la propria disponibilità. Innanzitutto, viene fatta una selezione sulla base dei curricula, delle motivazioni e delle competenze linguistiche. Successivamente, bisogna sostenere un colloquio durante il quale il candidato deve dimostrare di essere a conoscenza delle ragioni di Expo e, nel mio caso specifico, della partecipazione dell’Unione Europea. Infine, bisogna seguire un corso online strutturato in moduli con annesso test finale. Seguire questo percorso di formazione consente ai volontari di acquisire dimestichezza con i loro compiti, ancor prima di mettere piede in Expo.

I volontari presso i padiglioni si occupano dell’accoglienza dei visitatori, della facilitazione della visita e della diffusione di contenuti e conoscenze; quelli presso il padiglione UE sono dei veri e propri rappresentanti della cittadinanza europea e in particolar modo della sua gioventù. E’ indispensabile, perciò, che essi abbiano passione per l’Europa e ne condividano i principi riguardo alle tematiche di Expo. Trovo che la partecipazione dell’UE sia fondamentale poiché sicurezza, qualità e sostenibilità alimentare sono obiettivi urgenti che richiedono una maggiore coesione tra gli stati membri e un dibattito autorevole oltre i confini nazionali. Questa convinzione ha sciolto ogni dubbio a candidarmi a questa esperienza, consapevole che con il mio contributo avrei portato all’attenzione dei molti visitatori l’impegno dell’UE in questi ambiti.

Tale prospettiva mi ha accomunato ai volontari con cui ho condiviso queste due settimane, giovani provenienti da tutta Europa, con stimolanti esperienze formative alle spalle. Abbiamo da subito costruito un rapporto di amicizia basato sul lavoro di squadra e coltivato nelle ore libere dai turni trascorse in compagnia. Con molti di questi ragazzi sono rimasta in contatto e spesso rievochiamo episodi divertenti vissuti insieme.

Questa esperienza è stata anche l’occasione per avere la mia opinione sull’Expo. Ho trovato che alcuni paesi hanno interpretato in maniera chiara e originale il tema suggerito, mentre altri hanno mancato il bersaglio. Ciò non è dipeso sempre dalla disponibilità economica, ossia da quanto ciascun paese ha potuto investire nella sua partecipazione, quanto da un autentico interesse per il tema della manifestazione. Ho trovato che una buona parte dei padiglioni sensibilizza l’opinione collettiva riguardo allo spreco, ai disturbi alimentari e all’impatto ambientale, mentre altri sorvolano su queste tematiche limitandosi ad una promozione dei loro prodotti, perdendo quindi un’opportunità unica.

Del mio periodo ad Expo ho soprattutto conservato l’importanza di fare ancora volontariato e, nonostante le critiche mediatiche, non mi sono sentita “sfruttata”, avendo al contrario ricevuto molto da questa esperienza. Il volontariato è una scelta libera, pensata per chi ama mettersi in gioco e contribuire con spirito di squadra a un obiettivo che si ritiene di valore.

Maria Elena Sandalli

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