Nel cuore della Basilicata, a Rionero in Vulture, nel 1998 Gerardo Giuratrabocchetti fonda l’azienda viti-vinicola Cantine del Notaio, raccogliendo la sfida di valorizzare l’Aglianico del Vulture. A vent’anni dalla fondazione, Gerardo ci racconta la storia della sua azienda, di cui raccoglie i frutti ma non arresta la corsa.
«È percorso che mi ha dimostrato quali sono le cose belle della vita: ho preso il lascito della mia famiglia, ho avuto un’idea, dato lavoro a quarantadue persone e quando presento il mio vino c’è sempre qualcuno a raccontarmi di come il mio vino abbia fatto parte delle tappe importanti della sua vita». Questo è quanto Gerardo porta con sé della sua impresa ogni giorno: la consapevolezza di essere presente nelle storie degli altri in un calice.

Gerardo si laurea in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Bari nel 1982.
Aveva 7 anni e si avviò per curiosare nella vigna del nonno, suo omonimo, che gli disse «Ti chiami Gerardo. Ti chiami come me. Per questo, le mie vigne ti apparterranno».
Era il suo quarantesimo compleanno quando fondò Cantine del Notaio.
«Nonno lavorava in America provvedendo alla sua famiglia, che al suo ritorno gli regalò una vigna per ricompensarlo. La vigna passò a mio padre, che la cedette ai suoi fratelli. Dopo qualche anno, cominciò a sognare mio nonno che gli rimproverava di non aver fatto la sua volontà. Ricomprò la vigna che poi passò a me.» Intanto, Gerardo si era trasferito a Potenza, dove proseguiva la sua carriera nell’ambito dei miglioramenti genetici degli animali.
«Stavo per compiere quarant’anni quando si seguirono una serie di avvenimenti negativi. Un giorno, passeggiando in quel terreno, sentii la voce di mio nonno, che mi ricordava del compito che mi aveva affidato anni prima. Mi chiesi come mai sentissi quelle voci, a vent’anni dalla laurea e non sapevo come curare l’eredità, ma la voce nella mia testa mi garantì sostegno. Lasciai un lavoro da dirigente nel ’97, non avrei mai scommesso su questa avventura, se mi avessero detto che l’avrei fatto li avrei presi per pazzi.»
Fu fondamentale la figura di sua moglie, Marcella Libutti. «Mio padre allora non era convinto della scelta che stessi facendo, ma trovai sostegno in mia moglie, che mi incoraggiò. Ripresi in mano gli studi. Era una nuova vita, per me e la mia famiglia. L’intento era quello di studiare l’Aglianico del Vulture. Nel 2003 piantai l’Aglianico in cinque comuni della Basilicata.»
Ha rivestito un ruolo cruciale la scelta dei territori su cui coltivare il vitigno. Tutti i terreni hanno in comune uno strato di tufo vulcanico o arenario e l’esposizione pedoclimatica che ne permette la maturazione perfetta.
«Il tufo funge da spugna, assorbe l’acqua d’inverno e la cede d’estate. Come dicono i contadini: allatta la terra. Questo ci permette di non aver bisogno di irrigazioni e avere vigneti ecocompatibili, evitando lo spreco dell’acqua. È un punto di forza dell’azienda, ci permette di far sviluppare l’Aglianico del Vulture nel migliore dei modi.»
È un vitigno tardivo, esposto ai rischi ambientali del raccogliere l’uva da metà ottobre a metà novembre. È difficile la sua coltivazione, per questo necessita di grandi viticoltori, peculiarità dell’azienda e del territorio lucano.
La difficoltà nella coltivazione è ricompensata dalla longevità del vino. «L’Aglianico è un vitigno difficile, ma anche uno dei più importanti a livello globale. Produce vini longevi, che hanno straordinarie potenzialità di conservazione. Significherebbe molto poter aprire bottiglie di trenta anni fa e suggestivo per i consumatori. È una magia di cui l’Aglianico è capace. Fino ad ora non è mai stato fatto, ma noi stiamo lavorando per farlo.»

Alla domanda su quale sia il punto forte dell’azienda, ha risposto che «l’azienda è costituita da persone giovani che abbiamo potuto formare. Una squadra diventata una famiglia, che anche in piena emergenza continua a dedicarsi al lavoro, che nonostante la crisi di mercato continua ad avere costi. L’azienda è come una casa.»
Rispetto ai prodotti, Gerardo dice che «non c’è un prodotto di punta, la scommessa era creare una gamma di prodotti con lo stesso vitigno. L’Attoè sicuramente il vino più venduto tra i vini rossi e Il Preliminare tra i bianchi. La firma è stato il punto di svolta, ha cambiato il modo di vedere l’Aglianico, non più scorbutico ma elegante.»
Tra i prodotti spicca una bottiglia in edizone limitata, Il Lascito. «È il mio regalo per i miei sessant’anni e i vent’anni di attività, per essere un testimone per la famiglia e gli amici. È fatto con venti vini di venti annate diverse nella stessa bottiglia, in duemila bottiglie numerate.»
Ogni giorno è stato sudato, ma c’è un episodio che ricorda con più affetto.
«Ho cominciato da solo, ho trovato forte sostegno nel fratello di mio suocero, senza di lui non so se avrei trovato la forza. Mio padre mi ha regalato l’etichettatrice quando abbiamo prodotto le prime bottiglie. L’etichetta era messa a punto da mia moglie. Ci siamo seduti e insieme abbiamo etichettato le prime bottiglie de La Firma. A Vinitaly nel 1998, quella bottiglia ha avuto la gran menzione. Fu il primo vino premiato della Basilicata. È stato il momento migliore.»
Per gli obiettivi futuri dell’azienda, Gerardo ricorda un presupposto importante: «Il miglior vino è quello che farò. Ogni volta dobbiamo chiederci se possiamo fare di meglio, e allora faremo di meglio per avere un prodotto migliore. Faccio il meglio che posso ogni momento della mia vita. In ogni bottiglia mettiamo il meglio di noi stessi.»
Nel team vive un motto, «conosco solo tre verbi – dice – volere, combattere vincere. La vittoria non è fare un vino che riceve una medaglia, ma realizzare un sogno e vincere la sfida di realizzare un’impresa.»

Oggi Cantine del Notaio può vantarsi di aver raggiunto un traguardo prima sconosciuto. Su un terreno di trenta ettari sparsi in cinque comuni della Basilicata, in cui il tufo – arenario e vulcanico – è elemento comune a tutti, insieme ad un clima favorevole allo sviluppo dell’Aglianico del Vulture, ha prodotto quattordici tipologie di vini diversi con lo stesso vitigno. Successo reso possibile da una squadra solida, che in poco più di dieci anni ha conquistato più di quattrocento successi in Italia e nel Mondo. Tra i premi spiccano quello all’Autentica 2017, tra l’altro premiato come miglior vino dolce in Italia da Luca Maroni nella sua guida ai Miglior Vini Italiani del 2020; l’Autentica 2016, medaglia d’oro al concorso enologico internazionale del 2019; il Rogito 2017, ottantaquattro punti parker al The Wine Advocate del 2019. Successi che sono partiti dal Vinitaly di Treviso e hanno portato l’azienda fino a Tokyo, rivoluzionando, poi, la concezione americana dell’Aglianico, senza mai dimenticare le sue origini.
La magia del vino sta nell’avvicinare le persone in maniera incredibile. «Non c’è altro prodotto al mondo che crea questa magia. Essere presenti pur non essendo presenti. Vicini anche se lontani. La parte migliore sono le storie delle persone, che ricorderanno sempre il mio vino sulle loro tavole in quelle occasioni.»
Il punto di forza di questa azienda è senza dubbio aver seguito con tenacia i sogni di una famiglia intera, spinti dalla voglia di migliorarsi e reinventarsi per valorizzare i lasciti familiari e le peculiarità del territorio lucano. Ne hanno fatto la missione di una vita, oltre che la chiave del successo – anche internazionale – raggiunto. Di