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Nel giugno 2016 gli elettori del Regno Unito si sono espressi tramite referendum, scegliendo di lasciare l’Unione Europa. Gli effetti, non solo economici, della cosiddetta “Brexit” sono molteplici e dovranno valutarsi, secondo autorevole dottrina, nell’arco dei prossimi anni non essendo possibile quantificare nell’ “immediato” i notevoli risvolti di detta scelta sociopolitica.

Il 30 dicembre 2020, a seguito di una complessa negoziazione durata circa otto mesi, viene siglato l’Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione tra UE e Regno Unito (TCA). Applicato dal’1° gennaio 2021 provvisoriamente, in attesa della ratifica del Parlamento Europeo, Consiglio Europeo e Parlamento britannico, la sua momentanea vigenza è slittata sino al 30 aprile 2021.  

Durante le lunghe trattative precedenti all’Accordo, molti autori e importanti riviste economico-giuridiche si sono interrogate sui possibili scenari derivanti dell’uscita britannica dal Mercato Europeo Comune. Il venir meno di tale prerogativa, fondata sulle quattro libertà dell’European Internal Market, comporta per esempio, in estrema semplificazione, un impatto diretto sull’attività delle imprese multinazionali del Regno Unito e degli Stati membri europei: non si godrebbe più della libera circolazione dei capitali attraverso i confini reciproci, e le relative filiali sarebbero soggette a normative più rigorose e costi di produzione più elevati.

L’Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione tra UE e Regno Unito si è concluso in virtù dell’art. 217 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) che prevede l’approvazione all’unanimità degli Stati membri dell’UE in sede di Consiglio e l’approvazione del Parlamento europeo.

Il documento in quanto accordo da riferirsi a materie di competenza esclusiva dell’UE, non essendo un accordo misto, non richiede la ratifica di ciascun Stato membro dell’UE, secondo le rispettive norme costituzionali, che avrebbe implicato la necessità di una ratifica da parte dei Parlamenti nazionali.

Il testo finale non si ritiene essere del tutto conforme al mandato negoziale che il Consiglio dell’Unione aveva indirizzato alla Commissione europea nel febbraio 2020. I principali punti di mancata convergenza possono, in sintesi, riassumersi così: assenza di una disciplina comune su difesa e politica estera (con a latere preoccupazione da parte di alcuna dottrina sul fenomeno della “criminalità finanziaria” e della “deregulation”); mancanza di allineamento e meccanismi di adeguamento automatico del Regno Unito alla normativa europea; assenza di una disciplina convergente sugli aiuti di Stato; mancata partecipazione al programma Erasmus+ da parte del Regno Unito; regime non liberalizzato della pesca; decadenza della libera circolazione delle persone e non riconoscimento automatico dei titoli professionali; diniego della competenza della Corte di giustizia dell’Unione sui possibili conflitti che possono sorgere tra il Regno Unito e altro Stato membro o Unione stessa (si potrà teoricamente risolvere attraverso sistemi arbitrali quali la Corte permanete di arbitrato o altri sistemi analoghi).

Per quanto riguarda i settori su cui si è raggiunta una convergenza, tra cui i trasporti, la trasparenza fiscale, l’accordo sul nucleare civile e altre tematiche, l’Accordo economico e di partenariato tra l’UE e il Regno Unito è il primo accordo commerciale dell’UE che prevede “zero tariffe” e “zero quote” con un paese terzo non membro.

Questo è un indubbio punto interesse economico, poiché il TCA non prevede barriere tariffarie su tutte quelle merci, il cui produttore dichiara essere conformi alle normative europee vigenti in materia. Le barriere sono dunque non di origine “tariffaria” quanto di natura qualitativa.

Pare opportuno segnalare, che in fase di negoziazioni alcuni autori o politici ipotizzando un “no deal”, prospettarono un nuovo assetto di relazioni economiche internazionali che vedevano l’accordo UE-UK simile agli accordi tra UE e Canada o tra UE e Australia.

Per quanto attiene la trasposizione di una serie di accordi di natura economica e commerciale che l’UE ha in essere con Stati terzi, il Regno Unito ha optato per la riproduzione normativa integrale degli accordi medesimi, in ottica continuità con ognuno di essi. Il tutto è stato fatto in tempi piuttosto brevi non prevedendo talora alcun regime intermedio, giacché un eccessivo ritardo avrebbe potuto condurre ad uno stallo delle importazioni-esportazioni, seppur lieve, che vista la situazione pandemica in atto non era certamente auspicabile per l’economia britannica.

Va poi sottolineato che l’Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione fa salva la possibilità per gli Stati membri di stipulare accordi bilaterali con il Regno Unito concernenti questioni specificatamente delineate: trasporto aereo, cooperazione amministrativa nel settore delle dogane e dell’IVA e sicurezza sociale.  Detti accordi, da stipularsi in futuro, dovranno comunque tenere conto di due linee direttrici. In primo luogo, debbono essere rispettate le norme contenute all’interno del TCA e non vi deve essere contrasto con il diritto dell’Unione (quale ad esempio il generale principio di non discriminazione in base alla nazionalità sancito dal TFUE).

Va specificato che nelle materie o settori non contemplati dal TCA gli Stati membri mantengono la competenza a negoziare e concludere accordi bilaterali con il Regno Unito, essendo però tenuti informare la Commissione europea.  

In secondo luogo, è previsto che vengano osservati alcuni “criteri guida” non soltanto nella contrattazione UE-UK ma anche in quella fra UK e Stati membri. Tra tutti si fa riferimento alla condizione di parità (o level playing field) e relativi “correttivi” ovvero le misure di “riequilibrio” e di “riesame“.  In estrema semplificazione le parti contraenti debbono osservare elevati livelli di protezione in alcuni settori “rafforzati” quali la tutela dell’ambiente e la lotta ai i cambiamenti climatici.

Il Regno Unito ha infine accettato il rispetto del quadro normativo europeo esistente, mentre ha rifiutato la richiesta di un adeguamento automatico alle future eventuali evoluzioni normative della disciplina europea in materia di mercato unico, secondo il modello seguito da Norvegia, Islanda e Liechtenstein nell’ambito dello Spazio economico europeo (SEE).     

Tematica complessa e lasciata ad una risoluzione futura, attiene alla disciplina degli investimenti e dei servizi finanziari. È infatti allegato all’Accordo un impegno delle parti (UE-UK) volto a stabilire una cornice normativa entro la quale poter disciplinare compiutamente la materia. Ad oggi i soggetti o società che operano investimenti provenienti dal Regno Unito possono istituire persone giuridiche nell’ Unione per offrire servizi in tutto il mercato.

Sul fronte delle relazioni internazionali “extra-europee”, seppur risulta complesso secondo la dottrina prevalente poter fare delle previsioni ex ante, è possibile illustrare alcuni tratti salienti.

Il Regno Unito innanzitutto dovrà firmare e ratificare una serie non trascurabile di convenzioni internazionali nelle quali parte era l’Unione Europea in quanto organizzazione internazionale e non i singoli stati membri che la compongono; un esempio di particolare rilevanza è la partecipazione all’OMC, ricordando che l’Unione coadiuva attivamente le attività svolte dall’Organizzazione mondiale del commercio e ne rappresenta il maggior blocco commerciale al mondo.

In secondo luogo, possono rilevarsi iniziative diplomatiche britanniche che sono suscettibili di incidere sulle relazioni internazionali, non solo a livello economico, intessute dall’ormai ex Organizzazione di integrazione regionale di riferimento. A titolo esemplificativo, l’accordo sul “libero scambio”, siglato con il Giappone, porrebbe il Regno Unito in una condizione di apparente “privilegio” rispetto al blocco Unione Europea. Inoltre, molte agenzie di stampa internazionale e politologi ritengono che possa rafforzarsi il rapporto economico e politico tra i britannici e gli Stati Uniti; i negoziati in tal senso sono iniziati contestualmente a quelli per l’uscita dall’Unione Europea.

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Caporedattore attualità 21/22