
Indagando il proprio passato, Kenneth Branagh ci racconta tutte le contraddizioni e le calamità di un contesto sociale – in particolare quello di Belfast durante il conflitto nordirlandese di fine anni ‘60 – filtrato dagli occhi di un bambino, che non riesce a comprendere pienamente questo mondo. E la quotidianità lo mette continuamente di fronte a queste problematiche che risultano troppo più grandi di lui: gli scontri armati nelle strade, il conflitto religioso tra protestanti e cristiani, i problemi coniugali ed economici dei suoi genitori, l’anzianità che attanaglia i nonni.
La toccante storia di “Belfast”, è raccontata con una brillante ironia e un umorismo tipicamente britannico che evitano il dramma, una fotografia in bianco e nero che illumina ogni scena, ed una regia attenta, consapevole, a tratti documentaristica. Bravissimi anche gli attori, specialmente i nonni (Judi Dench e Ciarán Hinds), ma rimarrà impressa soprattutto l’interpretazione del piccolo e dolcissimo Buddy (Jude Hill). In un film che rievoca i sogni e l’ingenuità dell’infanzia, quando il mondo degli adulti sembra estremamente complesso.
La sua risposta è la fuga dalla realtà, una realtà “scadente” (Sorrentino dixit), tramite il cinema (“Un milione di anni fa” con Raquel Welch), il teatro (“A Christmas Carol” di Dickens), il calcio, i western con John Wayne (“L’uomo che uccise Liberty Valance”) e Gary Cooper (“Mezzogiorno di fuoco”), l’amore per la sua compagna di scuola, Catherine.
Solo che spesso, crescendo, dobbiamo accettare che molte cose di questo mondo, non le comprenderemo mai.