Lo slogan emblematico del nostro tempo.
Analizziamo parte della questione immigrazioni in modo, per quanto possibile, apolitico, pragmatico. Analizziamo le “soluzioni” che possiamo desumere dall’erratico e caotico “rispondere” delle forze politiche nazionali, tutte. In modo sì apolitico, ma sicuramente non acritico.
Andando all’essenziale possiamo dividere in due le soluzioni che ci vengono proposte. Da una parte ci si propone di “aiutare a casa loro” i migranti, con una qualche distinzione in base all’immigrato economico e quello che fugge dal conflitto. Dall’altra ci si propone di aiutare “accogliendo” i migranti, economici o politici che siano, facendo leva sul principio etico dell’accoglienza. Analizziamo le due “proposte”, che più che tali, non avendo nulla di programmatico e tutto di caotico, sono principalmente slogan, ma comunque ci proviamo.
Aiutiamoli a casa loro. A prima lettura cosa c’è di più logico che aiutare chi sta male a casa propria. Aiutare lì dove c’è il problema, così che i migranti non debbano abbandonare quello che non vorrebbero, la proprio casa. Ma a seconda lettura, possiamo? È possibile “aiutare” a casa loro? Scaviamo un attimo più a fondo nel concetto. Per aiutare a casa loro prima di tutto servirebbe avere un qualche modo di farlo, insomma c’è da scegliere, vogliamo farlo da soli, con un ministero, come quello degli esteri, tramite studiosi ed esperti, con l’ausilio dell’esercito? Oppure vogliamo farci aiutare dall’ONU e rendere il problema un questione internazionale? Questo già sta venendo fatto in teoria eppure non sembra che stia arginando in alcun modo la migrazione dai paesi meno sviluppati verso quelli occidentali in cui la qualità di vita è oggettivamente migliore, anche e soprattutto da mendicante per assurdo, perlomeno non si è lasciati a morire per strada, per ora.

Visto che l’ONU non si scomoda solo per una Nazione e visto che già di suo si scomoda, teniamola fuori dal ragionamento. Quindi a livello nazionale cosa potremmo fare? Per rispondere dobbiamo cominciare a scoperchiare il machiavellico e parlarne: lo facciamo prima di tutto quando accendiamo la luce in casa, quando scaldiamo la casa e accendiamo i fornelli, quando usiamo l’auto. Il mondo va avanti a petrolio e gas, eppure noi in Italia di giacimenti petroliferi utilizzati non ne abbiamo molti, un po’ di più di gas, ma pochi accetterebbero un’operazione di estrazione davanti a casa propria. Quindi come quasi tutta Europa il nostro petrolio e gas lo cerchiamo altrove. L’italia in particolare lo cerca in Nigeria e Congo e lo fa tramite l’ENI.
Ovviamente se tutti nel mondo vogliono il petrolio, il problema grosso è il costo del petrolio. I paesi occidentali quindi sono in continua ricerca di modi per trovare più petrolio a basso costo. Un ottimo mercato per petrolio a basso costo sono paesi africani dove regna l’instabilità politica o dittature. Lì il problema del costo si risolve in fretta, il petrolio si paga molto meno perché non si paga il costo reale del petrolio. Il prodotto si dovrebbe pagare molto di più per vari motivi, prima di tutto perché il prezzo di mercato di una risorsa limitata che tutti vogliono ovviamente è alto, poi perché è una risorsa pubblica, o che lo dovrebbe essere, di una Nazione. Risorsa che dovrebbe essere a disposizione in primis a questa stessa, che quindi dovrebbe essere pagata alla nazione tutta, così poi da reinvestire quel denaro per il bene della Nazione tutta, per migliorare la cosa pubblica. Con quel denaro la Nigeria potrebbe costruire scuole, strade, fognature, dare pensioni, servizio sanitario pubblico efficiente, sussidi. Insomma potrebbero “aiutar-si a casa loro”.
Eppure non paghiamo il valore reale del prodotto alla nazione. Sarebbe semplice quindi “aiutarli a casa loro” basterebbe assicurarsi di pagare le risorse naturali il prezzo giusto, reale, e poi, volendo, aiutare queste Nazioni in difficoltà ad usare in modo appropriato il denaro pubblico. Cosa che poi neanche noi sappiamo fare realmente, però perlomeno abbiamo le fogne.
Eppure voi avete mai sentito esprimere in questi termini lo slogan “aiutiamoli a casa loro”? Io no. Anzi, i fautori dello slogan spesso hanno politiche nazionaliste e Bismarckiane, machiavelliche appunto. A fondare questo ragionamento ci sono i numerosi processi di corti italiane sui casi di corruzione internazionale da parte di Eni, che difficilmente arrivano ad una conclusione soddisfacente, ma che comunque chiaramente evidenziano il problema, che non è un problema tutto italiano ovviamente. Quindi abbiamo capito che lo slogan “aiutiamoli a casa loro”, è appunto uno slogan e si esaurisce nell’esserlo, non è un reale programma politico di azione.

Passando ora allo slogan inesistente dell’altra fazione politica, che neanche riesce a produrlo uno slogan, perché essere d’accordo su così tante parole è una faccenda politicamente molto complicata, troppo compromesso. Ecco che possiamo auto-definircelo lo slogan “dell’aiutiamoli a casa nostra”. Anche questo slogan, a prima lettura, pensando a quanto eticamente sia giusta l’accoglienza e la solidarietà nel confronto del prossimo, pare parecchio ragionevole. Se consideriamo poi che aiutarli a casa loro è difficile e già lo fa l’ONU sembra ancora più ragionevole.
Allora analizziamo questo di, mancato, programma d’azione politica. Per aiutarli a casa nostra dobbiamo creare prima di tutto un metodo per aiutarli, cosa vogliamo fare? Prelevarli, ma con quale criterio? Poi dove vogliamo metterli a vivere? Gli diamo un lavoro? Gli facciamo un corso di educazione civica? E la cittadinanza gliela diamo, come e quando? Ma poi se sono terroristi come ce la giostriamo, abbiamo bisogno di un sistema di Servizi di Intelligence bello attivo. Insomma ci servono, molti soldi, efficienza ed efficacia nell’azione politica ed amministrativa.
Noi tutto questo non lo abbiamo neanche per i cittadini italiani. Quindi la risolviamo in un modo molto semplice: non risolvendo. Lasciamo che sia il criterio della sopravvivenza, del caso e di qualche politica disomogenea, tra statale e regionale a risolverci il grattacapo, poi li smistiamo come meglio riusciamo in giro per l’Italia, lasciando alle regioni il grattacapo di cosa far fare a queste persone che non sanno parlare Italiano, in un paese in cui i loro possibili datori di lavoro non sanno l’Inglese.
Quindi anche qui abbiamo capito, lo slogan, inesistente, “dell’aiutiamoli a casa nostra”, anche qui oltre che a rassicurare il nostro bisogno di sentirci in pace con noi stessi fa ben poco. Però possiamo sentirci elevati rispetto a tutti quelli che non hanno un’etica e riempirci la bocca di parole altisonanti come solidarietà civile. Parole che ormai sono tautologiche fino a fare venire la nausea, parole emetiche insomma.
Ma allora in questa landa desolata di cinismo ed ironia a noi cosa rimane? Secondo me rimane un chiaro e concreto risultato: una consapevolezza. Guardiamoci per primi, noi-stessi, allo specchio – io stesso che scrivo da questo strano pulpito – rendiamoci conto che non siamo poi cosi bravi, buoni e belli. Cosa facciamo noi per migliorare la situazione? Deleghiamo solo ad altri, che poi facciano davvero o non facciano nulla? Potremmo comprare con più attenzione ed informazione, consumare meno e cercare di aiutare più spesso e meglio queste situazioni intorno a noi. Per chiudere in canzonetta, così da alleggerire anche gli animi, come avrebbe detto Sordi in “E va e Va”, non prendiamoci troppo sul serio, siamo un po’ autocritici, così, dopo esserci guardati allo specchio, dopo aver guardato nella palla degli occhi i nostri rappresentanti, da noi eletti, chiediamoci/gli “ti c’hanno mai mandato a quel paese” africano?