UNA CANZONE PER I MORTI: STRAGE A LAS VEGAS

La strage di Las Vegas che ricorda il più alto numero di vittime mai visto

strage e las vegas

LA STRAGE A LAS VEGAS:

Con 59 vittime e 537 feriti, Stephen Paddock, 64 anni, scrive il più sanguinoso dei capitoli delle sparatorie negli Stati Uniti d’America compiendo una vera e propria strage in pochi minuti.

Alle 20:08 ora locale, Paddock apre il fuoco dalla sua camera d’hotel su migliaia di spettatori posizionati davanti al Mandalay Bay Resort e Casino a Las Vegas, per un concerto country. Dai video delle persone presenti al concerto si capisce che la folla fa fatica a distinguere i colpi delle mitragliatrici semi-automatiche dal fragore della chitarra di Jason Aldean. In pochi secondi, però, si scatena il caos. Le persone cominciano a correre in preda al panico. Persino il performer Aldean corre via, ed è allora che si capisce che non si trattava di urla di gioia, ma di qualcosa di molto più serio.

C’è chi si butta a terra quando i colpi si fanno più intensi, c’è chi, più coraggioso, corre via quando i colpi si fermano. L’adrenalina sale, il sudore e il sangue appestano l’aria, e per 10 o 15 minuti il fragore delle carabine non si ferma se non per ricaricare.

E’ stato soltanto dopo una ventina di minuti che gli SWAT sono entrati nella suite 32135 trovando un agente della sicurezza e Paddock morti, anche se si crede che il killer fosse stato ancora vivo quando i primi agenti di polizia identificarono la sua stanza, come quella in cui si trovava lo sparatore.

 

CHI ERA PADDOCK 

Paddock era “un normale vicino di casa”, asseriscono i suoi vicini nella comunità per anziani a 160 km da Las Vegas, Nevada. I suoi hobby erano il golf, giocare al casinò e, coincidenza nefasta del destino, andare a concerti di musica country. Paddock non conobbe suo padre da bambino: sua madre gli aveva detto che era morto, mentre in realtà era in prigione da quando il figlio aveva 8 anni. Il padre era infatti un pregiudicato ed è stato per molto tempo ricercato dall’FBI per essere evaso dalla prigione federale di La Tula, Texas. Paddock, per quanto sappiamo ad ora, non ha mai avuto contatti con il padre, e amici e parenti lo descrivono come una persona “normale, tranquilla”. In un’intervista alla CBS il fratello, Eric Paddock, disse che Stephen non era per niente un fanatico delle armi. L’arsenale di 23 armi da fuoco ritrovato dalla polizia nella suite del Mandalay, però, risulta essere in forte contrasto con la storia di Eric. I fucili e le pistole furono comprate solo pochi giorni prima della strage. Delle armi, molte erano state automatizzate e molti dei fucili erano dotati di mirini telescopici da cecchino. Nella sua macchina sono inoltre stati ritrovati diversi etti di nitrato d’ammonio, un composto utilizzato per creare esplosivi. Stephen ha pernottato al Mandalay dal 28 Settembre, e nessuno, neppure le donne delle pulizie incaricate del suo piano d’hotel, avevano trovato nulla che facesse presagire all’imminente tragedia. Resta quindi il dubbio di come Paddock, tranquillo pensionato, abbia potuto comprare un arsenale tale da fare invidia agli Spetsnaz Russi ed utilizzarlo contro una folla ignara.

Cos’ha fatto scattare la molla?

 

PRESUNTA AFFILIAZIONE ISIS o L’ENNESIMO PAZZO?

Il New York Times dice : “Amaq, l’agenzia di cronaca dell’ISIS, dichiara che Paddock abbia risposto alla richiesta del gruppo di colpire i paesi della coalizione. La frase fa riferimento ad un famosa dichiarazione del 2014 di Abu Muhammad al-Adnani, un precedente portavoce dello Stato islamico, che chiedeva ai simpatizzanti nel mondo di portare a termine violenza nel nome del gruppo sulla terra di coloro che combattono contro l’ISIS.”

Amaq dichiara anche che Paddock si sia convertito all’Islam mesi prima della strage.

L’FBI dichiara tutto il contrario, prediligendo l’ipotesi che Paddock sia in effetti un lupo solitario, definendo ancora ignoto il motivo dell’eccidio. E’ quindi ancora da definire la situazione che vede l’ISIS in cerca di massacri da dichiarare propri, i servizi di sicurezza americani in crisi e le reali motivazioni che hanno portato Paddock a compiere la strage, sconosciute anche ai suoi familiari.

 

LA REAZIONE DI TRUMP

In America e nel resto del mondo, ci si sta chiedendo se il Presidente Trump abbia risposto con la dovuta forza. Il suo discorso viene definito quasi simpatizzante nei confronti dell’assaltatore. C’è da dire che non ha risposto nel modo in cui ci si aspettava rispondesse lui, con toni gravi ed aggressivi contro un de-facto terrorista. Ma Trump ha comunque voluto “dare a Cesare quel che è di Cesare”, e parlando dell’accaduto, ha utilizzato l’aggettivo “pure evil”, congratulandosi poi con le forze dell’ordine e i medici di soccorso per il loro pronto intervento, definendoli un “miracolo”. Ha infine stressato l’importanza di questo rapido intervento che ha arginato un evento già di per se grave, ma che avrebbe potuto avere una portata molto superiore in termini di vittime.

E’ forse interessante notare come il neo-Presidente degli Stati Uniti non abbia menzionato il fatto che Paddock avesse un vero assetto militare di armi da guerra automatiche, non entrando quindi nel dibattito sulla facilità d’acquisto delle armi che proprio in questi giorni sta dividendo il suo Paese. Ed in effetti come potrebbe? Ha le mani legate. Infatti, la famigerata NRA (National Rifle Association), ha sostenuto Trump durante la sua nomination repubblicana e la sua nomina a presidente. Trump non può quindi voltargli le spalle, come Obama prima di lui, per far notare al pubblico d’America la facilità con cui un pensionato del Nevada con evidenti problemi psichiatrici, abbia potuto armarsi di 23 fucili automatici. Ad ogni modo, viste le ideologie del Presidente, egli non sembrerebbe comunque intenzionato a schierarsi dalla parte del suo predecessore, avendo sempre apertamente sostenuto la legalità del porto d’armi per il singolo cittadino.

Viene infine la parte in cui ogni scrittore di cronaca va a porsi delle domande cruciali seppur brevi:

Poteva essere fermato in tempo? Cosa causa in un uomo tanto odio da puntare un fucile su una folla inerme di compatrioti? La NRA ha colpa per ciò che è successo? E se sì, perché in America non vi sono restrizioni più limitanti nei confronti delle armi che un normale cittadino può acquistare? Il Presidente poteva essere più duro, o si è dimostrato all’altezza?

L’America resta divisa e in lacrime davanti ad una catastrofe che più e più volte si è abbattuta sul suo suolo, e le domande qui menzionate saranno oggetto di acceso dibattito e forse troveranno risposta, ma più probabilmente secondo chi scrive, resteranno scritte nell’angolo più remoto di un taccuino impolverato, senza trovare mai una risposta concreta.