Roma di Ferro

Storie di vita sospese

Storie di vita sospese

Avete presente quando il destino sembra si stia davvero impegnando per impedirvi di riuscire in qualcosa? Credo di sì. Ebbene, siccome credo sia sempre bello creare una comunione di sensi e di esperienze, per fare in modo che il vostro sentirvi a tratti dimenticati dalla buona sorte, non sia solo vostro, ma sia distribuito, razionato, fra una manciata di individui partecipanti di questo pezzo, me compresa, vi racconto cosa mi è successo qualche giorno fa.

Ero uscita di casa verso le 18:15, determinata a “dare un senso alla giornata”, come dice mio zio Valerio, anche se spesso lui utilizza questa frase per comunicare che, avendo un certo languorino, mangerebbe volentieri qualcosa. Insomma, ero uscita di casa determinata a portare a compimento una grande sfida: comprare l’abbonamento annuale per l’ATAC. Sottolineerei comprare e non ricaricare, perché altrimenti l’impresa mi sarebbe parsa decisamente più semplice. In realtà, ero comunque fiduciosa di riuscire nel mio intento perché, pensando di essere molto furba e di non trovare fila, mi sono diretta verso la stazione Tiburtina.

1,50 € per il biglietto comprato all’edicola vicino la fermata Policlinico, che chissà quanti soldi fa soltanto così. Scendo le scale, i militari mi squadrano come fossi una terrorista, ma a questo sono abituata… Ad ogni controllo in aeroporto mi fanno il test con il tampone per cercare tracce di droga o esplosivo. M’immagino sempre così, per un terzo spacciatore, per un terzo terrorista e per l’altro terzo come jolly da adattarsi alle evenienze.
18:35. Tutto regolare, scendo alla fermata giusta, un po’ spaesata perché non so dove si trovi l’ufficio ATAC. Un giro su me stessa, occhi socchiusi e fronte aggrottata da uno sguardo concentrato, per leggere la minima indicazione. Niente. Faccio qualche passo seguendo il flow di gente che si muove liquida e veloce. Un tabaccaio, che bello! Salve, posso compare qui un abbonamento annuale all’ATAC? No, deve andare in un’altra stazione per trovare la biglietteria ATAC, ad esempio Termini, è sulla stessa linea B. Ah, ho capito, e a Termini dove si trova l’ufficio? Al piano di sotto. Allora grazie, arrivederci. Ciao.
1,50 € per il nuovo biglietto per la metro, direzione Termini. Sono imbronciata. Pensavo di poterla risolvere velocemente e invece mi tocca andare a Termini a fare la fila.

Sono le 19 meno qualcosa. Scendo dalla metro ed inizio a scrutare l’ambiente. Libreria, Euronics e scale mobili solo per salire. E ora dove vado? Giro un po’a caso sul piano. Destra, sinistra, torno indietro, scendo delle scale, mi fermo, forse è di là, forse no, faccio una giravolta, la faccio un’altra volta e, non so come, arrivo all’entrata della stazione. Che nervi. Mi avvio a passo deciso verso il banchetto dove vendono abbonamenti brevi per turisti. Devo aver avuto un’espressione particolarente contrariata, per non dire furibonda, perché le prime parole che mi sono state rivolte, senza che aprissi bocca, sono state accompagnate da un viso allarmato. Che sguardo! Sì, esatto, ha ragione, ho un problema con la biglietteria ATAC… non riesco a trovarla! dov’è? Ah, ma allora si risolve, signorina! deve risalire su, e appena vede la libreria, la circumnaviga finché arriva a delle scale, scende e se la trova davanti. Finalmente! grazie. E di cosa, signorina?

Torno alla ricerca. Seguo le indicazioni minuziosamente, sono distratta dai libri in vetrina, ma arrivo alle scale. Tiro un sospiro di sollievo, il broncio si rilassa in un sorriso e scendo fiduciosa. BAM, scherzavo, la fiducia sublima. La biglietteria chiude alle 20:00, ma già dalle 19:00, per la quantità di gente in attesa, la macchinetta per ottenere il numero di prenotazione era fuori uso. Mi sento presa in giro. Sono uscita di casa per niente. Stringo i pugni e mi dirigo verso la fila, l’altra, per comprare il mio terzo biglietto in un’ora. La ragazza davanti a me non è italiana, ed è abbastanza impaurita dalla signora in nero che capeggia le file e contemporaneamente pigia sullo schermo di entrambe le macchinette, comprando i biglietti al posto degli acquirenti. Nel frattempo, con sottile pressione nelle sue parole meccaniche, chiede il resto come compenso per il servizio offerto. La ragazza, chiamiamola Jenny, mi chiede sottovoce di aiutarla a comprare il biglietto e va via poco dopo, sussurrando un flebile “Thanks”. You’re welcome. 1,50 € per l’ultimo biglietto e a testa bassa torno a casa, senza avere nulla in mano. E soprattutto con 4,50 € in meno, per la gita istruttiva nella Roma di ferro.