E’ di poco tempo fa la notizia del ritrovamento nella provincia di Napoli di due Van Gogh trafugati dal Van Gogh museum di Amsterdam. Questo fatto di cronaca ha sollevato l’attenzione su un fenomeno di cronaca sul quale troppo poco si è detto e scritto: il traffico di opere d’arte gestito dalla criminalità organizzata.

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Archeomafie è un termine che viene coniato insieme a quello di ecomafie ed utilizzato per identificare organizzazioni criminali che, utilizzando il metodo mafioso, operano nel settore degli scavi clandestini, del furto, oltre che traffico internazionale di opere d’arte e reperti archeologici. L’attività delle archeomafie si compone di una serie di passaggi di cui il furto ne rappresenta quello primario e più evidente; attraverso il mercato clandestino le opere trafugate finiscono nelle mani di spregiudicati collezionisti creando un traffico che si colloca, oggi, al secondo posto come fonte di introiti per le organizzazioni criminali dopo il traffico di stupefacenti. Ovviamente qui stiamo parlando di un traffico che ha assunto connotazioni internazionali, e che quindi per forza di cose presuppone una rete criminale ben strutturata e in grado di far perdere le tracce circa la provenienza illecita delle opere, ma soprattutto di riuscire a reinserire le opere stesse nel circuito legale.

L’Italia è sicuramente un paese che da questo punto di vista ha molto da offrire ai trafficanti e cercatori di opere d’arte. Pensiamo ai cosiddetti tombaroli, i quali si collocano alla base di una piramide al vertice della quale troviamo i veri e propri trafficanti: i primi scovano i tesori nascosti, i secondi acquistano gli stessi dai cercatori per poi immettere le opere nel mercato illecito. A primo acchito la domanda che sorge spontanea è, perché ricorrere al mercato illegale per ottenere un oggetto difficile da esporre oltre che privo di certificazione di autenticità? Spesso, in realtà, il collezionista che si rivolge ai trafficanti di opere d’arte è un “colletto bianco”, con grandi disponibilità economiche e consapevole di commettere reato di riciclaggio, acquistando opere d’arte attraverso un canale illegale. Quei pezzi dovrebbero, infatti, essere esposti nei musei.

Il mercato dell’arte è spesso teatro di investimento e reinvestimento di capitali illeciti per la caratteristica delle stesse opere di mantenere inalterato il proprio valore ed essere semplici da sottrarre o occultare, è uno dei più sicuri. Come detto poc’anzi, spesso si tratta di vere e proprie organizzazioni che si dedicano al commercio di tali opere, utili soprattutto alla gestione di un mercato sempre più internazionale. Tra i maggiori acquirenti esteri troviamo paesi come gli USA o la Svizzera. Proprio quest’ultima sembrerebbe avere un ruolo nevralgico nel mercato illegale: spesso per ripulire o meglio riciclare un’opera trafugata in Italia, le stesse vengono fatte transitare dal territorio elvetico. In questo modo si cancella la provenienza illegale dell’opera, tale per cui viene “costruita” una certificazione di autenticità ad hoc che ne permetta l’acquisto presso aste o musei. La cosa che maggiormente sconvolge è che spesso musei di tutto il mondo abbiano acquistato tali opere con la consapevolezza della loro provenienza illegale.

Per arginare il fenomeno è stato istituito, nel 1969, un reparto speciale dell’Arma dei Carabinieri, con il nome di “Comando Carabinieri Ministero Pubblica Istruzione – Nucleo Tutela Patrimonio Artistico”che è specializzato nelle operazioni che hanno ad oggetto il patrimonio culturale italiano. Questi reparti, però, incontrano non poche difficoltà nell’adempimento dei doveri cui sono chiamati, difficoltà che si riscontrano in particolare modo nello svolgimento delle indagini: incorrono infatti nell’impossibilità di fare intercettazioni o agire sotto copertura. Ecco perché l’Arma in questi settori esplica la sua attività soprattutto mediante i continui monitoraggi dei siti archeologici oltre che e soprattutto del territorio, mediante l’uso di strumentazioni che permettano di scoprire eventuali siti o scavi abusivi. Nell’affrontare questi inconvenienti si sono portate avanti istanze legislative al fine di procedere all’utilizzo di intercettazioni telefoniche e ambientali, oltre che di istituire i cd. siti civetta, questo proprio perché la maggior parte delle operazioni volte a “ripulire” le opere d’arte illecitamente ottenute avviene sul web.

Nonostante questa pratica sia annoverata tra le maggiori fonti di introiti delle organizzazioni criminali, la legislazione in merito è ancora poco sviluppata, le pene sono lievi (consisenteti nella reclusione fino ad un massimo di tre anni e poche migliaia di euro di multa) e gli strumenti per la repressione piuttosto limitati. In ragione di ciò è stata introdotta l’iTPC, un’app che permette, mediante una connessione internet, l’accesso ad un banca dati nella quale sono stati repertati tutti i Beni culturali illecitamente sottratti, che viene istituita presso il Ministero dei Beni Culturali con allegate immagine delle opere ricercate.

L’Italia è tra i paesi maggiormente impegnati nella promozione di politiche di contrasto al fenomeno del traffico illecito di opere d’arte, ne è un esempio l’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, al summit sul peacekeping all’ONU, in cui ha proposto la costituzione di una task force internazionale specializzata nella tutela del patrimonio culturale. Il tema della salvaguardia del patrimonio culturale ha attirato l’attenzione a livello internazionale soprattutto dopo le distruzioni di rilevanti siti ad opera di Daesh, cosa quest’ultima che fa sperare, sì, in una riforma a livello nazionale della legislazione in materia ma anche e soprattutto di una maggiore cooperazione a livello sovranazionale, in considerazione dei rapporti che organizzazioni criminali dedite a tali traffici intrattengono con l’estero. E’ solo attraverso la cooperazione internazionale che può essere debellato questo “morbo” che ha colpito il nostro inestimabile patrimonio artistico.