L’auberge anglais-Colchester

15785010_1285186201539910_129893530_o

Colchester è una sonnacchiosa cittadina inglese dai tetti bassi, le facciate antiche medievali in legno e dipinte di colori improbabili, oppure ricoperte dei classici mattoncini rossi a vista che ovunque tu vada sembrano proprio urlare “Inghilterra!”. Il senso di meraviglia e di magia che questo posto mi ha trasmesso appena arrivata però non è stato duraturo. No, è durato la bellezza di soli venti minuti.

Perché nelle due ore successive al mio arrivo, sono passata dal caratteristico centro città dall’ordinata forma rettangolare al losco sobborgo dove si trovava Forest Road House, la mia nuova casa per il resto dell’Erasmus.
Forest Road House era l’apoteosi dello squallido: muri scrostati, moquette da brividi, elettrodomestici obsoleti che in qualche strano modo erano sopravvissuti ad ogni tentativo di ristrutturazione o miglioria. E nonostante tutto, Forest Road House era anche il rifugio di tutti gli studenti Erasmus di Colchester a cui era stata negata una stanza nei dormitori dell’Università di Essex.

 
Si potrebbe pensare che questo significhi che il mio Erasmus sia stata un’esperienza terribile, da dimenticare e tentare di rimuovere quanto prima possibile dalla memoria, ma non è così. Ora, mentre scrivo queste parole, sto riascoltando la playlist di canzoni che hanno accompagnato la mia permanenza a Colchester, un improbabile miscuglio di musica inglese, italiana, francese, belga e tedesca, e non posso fare a meno di lasciarmi assalire dalla nostalgia.

Perché vivere nel Flat 2.6 di Forest Road House non ha significato solo vivere in un posto dimenticato dalla modernità e dalle più basilari norme igieniche, ma piuttosto essere parte di una famiglia internazionale di studenti che, trovatisi assieme per caso, sono riusciti a trasformare un’esperienza dalle premesse terribili in un momento indimenticabile della mia vita, che mi sarà per sempre caro.

15801009_1285186258206571_1857955754_n

 
Se c’è una cosa che ho imparato durante i mesi passati all’estero è che non importa dove ti trovi, quali sfide devi affrontare: la cosa davvero fondamentale sono le persone che ti accompagnano durante il tuo percorso. Perciò del mio Erasmus non ricorderò la sfilza infinita di essays e deadlines che mi hanno dato gli incubi e inseguita come segugi per tutta la mia permanenza in Inghilterra, non ricorderò le comuni lamentele riguardo il metodo di insegnamento anglosassone, così diverso dal resto d’Europa da essere stato etichettato come “weird” da ogni studente di scambio che ho conosciuto, non ricorderò la delusione di aver trovato l’intero centro città chiuso alle cinque del pomeriggio proprio quando eravamo riusciti a liberarci per prendere un dignitoso thè all’inglese.

 
Ricorderò le serate passate a guardare il film “L’auberge espagnol” e a paragonare gli studenti Erasmus sullo schermo a noi; ricorderò i lunedì sera passati al karaoke al bar dell’università dove abbiamo lasciato ogni briciolo di dignità rimastaci; ricorderò le feste in discoteca all’insegna della peggior musica degli anni novanta. Ricorderò soprattutto le feste improvvisate a Forest Road House, dove assieme al proprio drink bisognava anche portarsi la propria sedia e probabilmente anche il proprio bicchiere; ricorderò soprattutto le serate passate attorno al tavolo della cucina assieme alle mie coinquiline, improvvisando giochi da tavolo, lezioni di lingua e passando con nonchalance da impegnatissimi discorsi di politica comparata a banali discussioni su come cucinare il riso il più velocemente possibile. Ricorderò gli abbracci e le lacrime degli ultimi giorni e le promesse di rimpatriate che spero tuttora verranno mantenute.

 
E se potessi tornare indietro, non cambierei una sola virgola. Nonostante tutto, nonostante tutte le aspettative volate giù dalla finestra e mai realizzate, è successo qualcosa di inaspettato, lì a Colchester. Ho stretto dei legami speciali che trascendono le distanze e le differenze culturali, di lingua e di abitudini e che mi hanno permesso di sperimentare, per la prima volta nella mia vita, cosa vuol dire davvero sentirsi parte del sogno europeo.

Ora non sono più solo una studentessa italiana in Erasmus, ma sono una ragazza dell’appartamento 2.6 e pezzi del mio cuore parlano inglese, tedesco, francese, olandese e sono più che certa che non smetteranno mai.

 
Di Anna Finiguerra